Nemi Hotel - Guida Turistica

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.: NEMI
 Nemi è un comune di 1.922 abitanti della provincia di Roma, ed è il più piccolo dei Paesi nell'area dei "Castelli romani". Famoso per la coltivazione delle fragole, sorge in posizione dominante sopra il Lago di Nemi o di Diana. Il Lago è di origine vulcanica e si trova a pochi chilometri dal lago Albano. Il centro storico offre passeggiate panoramiche tra storia e botteghe artigiane. Palazzo Ruspoli domina il Paesino, interamente circondato da boschi secolari. Sulle rive del lavo è possibile visitare il Museo delle Navi che insieme al sito archeologico del Tempio di Diana Nemorensis, l'Emissario del lago, la Villa di Cesare e il Palazzo Ruspali, ne fanno una meta di interesse storico culturale. Sulla sponda opposta del lago si scorge il paese di Genzano di Roma.
  Le prime tracce di insediamenti umani nella valle del lago di Nemi datano almeno dall'Età del Bronzo. Il bosco, luogo sacro in ogni civiltà indoeuropea, fu sede di culti legati alla grande e onnipossente Dea Madre - la dea della vita in ogni sua forma, umana, animale e vegetale - poi identificata con la dea romana Diana e assimilata con la greca Artemide, il cui simbolo era la luna; e il lago di Nemi, in cui la luna si specchia, fu detto 'specchio di Diana'. Nella valle fu edificato un tempio a questa dea (c'era un appuntamento fisso tutti gli anni, il 13 di agosto, le cosiddette Idus nemorenses da cui derivano le feriae augustae d'epoca romana e quindi il nostro Ferragosto); il luogo divenne un punto di raduno per i popoli pre-romani, che qui facevano dei 'summit' di politica estera (Roma stava cominciando la sua inarrestabile espansione territoriale, e sentendosi minacciati concordavano alleanze fra di loro). Quando Roma infine conquistò il territorio sbaragliando la confederazione di questi popoli, la Lega Latina (338 a.C.), il Santuario perse ogni funzione politica divenendo un vero e proprio luogo di culto, e sul finire del II sec. a.C. fu spostato più a riva, ricevette un aspetto monumentale e si arricchì di strutture termali per la cura di svariati malanni. L'afflusso di devoti da Roma era tale che si costruì la via Virbia in diramazione dall'Appia (è in parte ancora visibile lungo i bordi dell'attuale via di Diana che scende da Genzano e anche all'interno del Museo delle Navi). Folle di pellegrini andavano al Santuario per ottenere la guarigione dalla dea della vita, e soprattutto vi si recavano le donne sterili per implorare la fecondità. E arriviamo a Caligola. Perché Caligola? Perché quando si recuperarono le navi (che fino a quel momento la voce popolare aveva attribuito a Tiberio) si scoprì che esse erano collegate a riva da un sistema di tubature di piombo per il rifornimento di acqua potabile. E sulle fistulae, cioè sulle lamiere che componevano i tubi, era impresso il nome del committente: Caii Caesaris Aug. Germanici, cioè quello che i suoi soldati prima e la storia poi chiamarono Caligola - cioè Stivaletto, dal nome delle calzature usate dai soldati e che il futuro imperatore da bambino amava portare, le caligae. Caio Cesare Germanico Caligola, che regnò dal 37 al 41 d.C., il pronipote di Tiberio.
  Allevato in Egitto e devoto alla dea Iside (personificazione anche lei della Luna, come Diana), l'imperatore veniva proprio sul lago di Nemi a compiere i suoi riti che si svolgevano su due navi a scafo piatto, stracariche di ornamenti, statue, mosaici, tempietti, sovrastrutture varie - navi non infrequenti nell'antichità, sia romana che d'altri luoghi del Mediterraneo, che erano chiamate thalamegi o thalamiferae, da thalamus, cabina: vascelli 'di pompa', ovvero usati per fare sfoggio di ricchezza; da usarsi in acque tranquille per semplice diporto, e non adatte alla navigazione in mare aperto. Ma Caligola (è assolutamente ingiusta la nomea di pazzo e sanguinario che la Storia ufficiale gli ha riservato, perché fu invece sovrano illuminato e clemente) accanto alla devozione per Iside aveva anche concezioni politiche avanzatissime, e soprattutto tentava di togliere progressivamente al Senato i suoi poteri. Questo naturalmente non piacque agli aristocratici, i quali complottarono a suo danno (a quei tempi le congiure di palazzo andavano per la maggiore a Roma), lo fecero uccidere e ne decretarono, con la damnatio memoriae, la condanna perenne al biasimo e all'oblìo. Questa pena singolare, di cui i Romani facevano largo uso, e che toccò anche a Nerone, consisteva nel distruggere iscrizioni, statue, medaglie, monete, tutto ciò che riportasse il nome o l'effigie dell'odiato tiranno, o che fosse particolarmente rappresentativo del suo potere. Insomma, le navi avrebbero fatto ricordare Caligola per sempre, così furono affondate.